Nino


Il bambino e il barbiere

Quando mi è stato chiesto un nuovo pezzo sul Carassone d’antan, in relazione alla scuola o comunque alla mia educazione negli anni ’50 del secolo scorso, sul momento non mi era venuto in mente niente. Avevo quasi deciso di lasciar perdere, poi una considerazione è affiorata prepotente tra sinapsi e neuroni.

Nessun uomo è un’isola e tutti siamo venuti a contatto con persone che sono stati importanti per la nostra vita e in qualche modo ci hanno dato qualcosa. Così mi sono messo a pensare se qualcuno, nel corso della mia infanzia a Carassone, avesse influito sulla mia educazione e quindi in qualche modo sulla mia vita. Qualcuno però che in qualche modo non fosse “obbligato” a farlo.

Non i genitori quindi. I miei sono stati meravigliosi, ma in fin dei conti accudirmi era un loro preciso dovere, sancito addirittura dalla legge.

Nemmeno la maestra di cui parlavo la volta scorsa o gli insegnanti in generale. Per tutti loro occuparsi di me, che piacesse o meno, era un obbligo istituzionale per cui erano giustamente pagati.

Alla fine una persona mi è venuta in mente. E mi sono stupito di non averci pensato prima. Sembrerà strano ma è stato Nino ‘l barbè. Nino Terreno che, quando ero bambino, aveva il negozio a metà di Via Botta sulla sinistra andando verso la chiesa.

Lui e sua moglie Adriana erano amici dei miei genitori e fin da piccolo ho frequentato con mio padre la sua bottega.

Foto ytratta dalla pagina Facebook “Mondovì del secolo scorso”

Come sempre quando si parla di infanzia non si hanno ricordi nitidissimi e precisi. Il negozio però lo ricordo bene. Le poltrone girevoli, un meraviglioso gioco, affascinante proprio perché si poteva salirci sopra solo per sottoporsi al taglio dei capelli.

I profumi delle varie lozioni. Misteriosi barattoli con sopra nomi curiosi. Uno su tutti. Proraso. Talmente particolare che ai miei occhi non ha perso il suo fascino nemmeno oggi che ho scoperto di cosa si tratta ed è oggetto di una pubblicità molto trendy in TV.

Gli specchi. Gli specchi! Il negozio ne aveva parecchi, ma era la loro collocazione ad essere intrigante. Specialmente i due più grandi, sistemati uno di fronte all’altro su due pareti opposte. Finivano per provocare una serie di immagini riflesse che sembravano prolungarsi all’infinito in una direzione e nell’altra. Una profondità inquietante che non poteva non suscitare fantasticheria sorprendenti, favorite dal chiacchiericcio degli adulti e dai profumi che aleggiavano nell’aria.

Il lenzuolo che mi avvolgeva protettivo quanto toccava a me sedermi sulla sedia per farmi tagliare i capelli.

Il piccolo brivido provato quando Nino sistemava le basette con il rasoio a mano libera.

La quantità industriale di brillantina che alla fine dell’operazione impomatava i capelli secondo la moda del tempo. A me i capelli così appiccicati al cranio non piacevano e allora, appena fuori dal negozio, me li scompigliavo. Facendo attenzione a non essere visto.

Ma su tutto sicuramente stava il Tuttosport. Una specie di Bibbia nel negozio. Una mia lettura quasi abituale. Posso dire di essere cresciuto culturalmente, all’epoca, tra Pinocchio, Cuore, il Corriere dei Piccoli, Topolino e gli articoli e le caricature di Carlin Bergoglio mitico giornalista di quel periodo. Passavo in negozio, soprattutto se non c’era nessuno, per sfogliare il giornale e discutere con Nino, tifosissimo del Toro, mentre io ero della Juve. L’educazione alla dialettica passa a volte per vie impensate.

Poi mi trasferii sull’Altipiano. Ma continuai ad andare da lui a farmi tagliare i capelli. A piedi. Una specie di avventura. Non passavo dalla via più breve e più logica, Breo, la lea e in fondo Carassone. Troppo banale. Arrivavo invece al cimitero, scendevo al passaggio a livello della ferrovia valicavo il ponte sull’Ellero e risalivo la Vallata.

Un’avventura che nell’agosto 1960 per un paio di settimane diventò quasi quotidiana. Nino aveva la televisione. La mia famiglia no. Così al pomeriggio ci trovavamo in diversi a casa sua per vedere le Olimpiadi di Roma.

Trapè Bailetti, Cogliati e Fornoni. Posso citare ancora adesso a memoria la formazione del quartetto che vinse la 100 km a squadre. Per non parlare della nazionale di calcio che annoverava nomi destinati a diventare mitici nella storia del calcio italiano, Burgnich, Rivera e Trapattoni su tutti.

Poi anche Nino trasferì l’attività sull’Altipiano, in Corso Italia. Non abitavo lontano e continuai a frequentare il negozio, forse con più frequenza di prima. Ma non era più la stessa cosa. Mi piaceva, ci andavo volentieri. Al Tuttosport trovavo affiancata La Gazzetta dello Sport. Continuavano con lui le discussioni su Toro e Juve. Ma lo trovavo un locale ormai troppo metropolitano, addirittura con una poltroncina fatta a cavallino per i bambini. Io che ero orgoglioso di sedermi sulla poltrona dei grandi, magari con un cuscino sotto il sedere. Non lo sentivo in armonia con il me stesso che stava cambiando. Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza ha sempre i suoi prezzi.

Continuammo però a frequentarci, sia pure saltuariamente, anche fuori dal negozio. Ricordo qualche escursione con lui in valle Pesio ed Ellero. Pian Marchisa, il Lago Biecai, Porta Sestrera, il Mondovì e il Garelli. Soprattutto a caccia di rane. Lo confesso. Allora era permesso. Oggi ci arresterebbero. A mia parziale discolpa devo dire che ne abbiamo sempre catturate poche.

Scoprii anni dopo, da una foto su un libro, che quei sentieri li aveva percorsi da partigiano.

Non me ne aveva mai parlato. Non so perchè. E forse è stato meglio così. Adolescente ombroso probabilmente non avrei sopportato nessuna forma di reducismo. Ma certi valori li trasmetti anche senza parlare.

Però, e torniamo all’inizio del racconto, al di là di questi che sono splendidi ricordi, che cosa mi ha dato Nino perché io lo consideri una persona importante nella mia vita?

Mi tocca rispondere che non lo so. E’ così, ma non riesco a definirne i motivi. Forse di motivi ce ne sono tanti.

Da lui mi sentivo trattato come un adulto. Di calcio discuteva come me come con gli altri frequentatori del suo negozio. Senza la condiscendenza che a volte, da una certa età in avanti, pratichiamo volentieri versi i bambini.

Mi sentivo rispettato. A differenza di molti adulti, alcuni insegnati compresi, che il rispetto verso di me manco sapevano cosa fosse. Ecco, forse è questa la parola chiave per capire il perché di tante cose. Rispetto. Non una cosa scontata.

O molto più semplicemente la sua figura mi ricorda l’infanzia, un periodo in cui tutto era nuovo, bello e scintillante. Almeno per me. Ma poi cosa importa sviscerare il perché e il percome. Ho un bel ricordo di lui e già questo e tanto basta.

Foto tratta dalla pagina Facebook “Mondovì del secolo scorso”

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Marco Tomatis

Insegnante per parecchi anni, ho svolto contemporaneamente l’attività di sceneggiatore di fumetti, soprattutto per i disegni di Cinzia Ghigliano. Sono passato in seguito alla letteratura soprattutto per bambini e ragazzi. In ambedue i settori di attività ho pubblicato, oltre che per le principali case editrici italiane, anche in numerosi paesi esteri. Ho vinto inoltre, spesso con Loredana Frescura con cui collaboro da una dozzina di anni, numerosi premi tra cui il premio Andersen nel 2006, il premio Selezione Bancarellino nel 2015 e il premio “Gigante delle Langhe” nel 2017. Nel 2008, un mio libro, realizzato con Cinzia Ghigliano, è stato inserito, da una giuria internazionale, nei White Raven, selezione delle 250 migliori opere per bambini e ragazzi pubblicate nell’anno in tutto il mondo. Sono membro, fino a dicembre del 2018, del Direttivo dell’ICWA (Italian Children’s Writers Association) per i rapporti con la scuola e svolgo da anni attività di promozione della lettura nelle scuole e in altre realtà. Ho collaborato e collaboro inoltre con organizzazioni e enti vari (Touring Club Italiano, Comieco, Slow Food, Comuni, Salone del Libro di Torino, Provincie e Regioni) per la realizzazioni di opuscoli e volumetti di tipo didattico.

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